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Messaggio N°94 del 26-12-2006 - 15:06
Tags: Identità

Il Mercato del Tempo Andato
di Marina Salvadore

… Scandisce il tempo l’orologio della Storia… di quell'antica Storia chetroppo spesso obliata, diventa leggenda…e ch’è tuttavia viva sin da quando, ben prima degli orologi, il sole e la luna, albe e tramonti…eppoi le stagioni… eppoi i frutti ed i pesci, le semine e le messi, le erbe e i fiori…e le voci del “mercato” scandivano l’inesorabile, perfetto, trascorrere del tempo, su i gesti del passato e le attese del futuro…quando – viaggiatori del tempo e dello spazio, nella luce del varco d’uscita da un buco nero tra le galassie – in ogni era ritrovavamo puntualmente sui banchi del Mercato del Tempo Andato immagini di noi, così quali eravamo… Il Turismo privilegia esclusivamente città italiane del centro-nord intese quali Città d’Arte relegando ingiustamente Napoli – ch’è una città che rivela la sua storia attraverso vestigia plurimillenarie – nei bassifondi del folklore, nell’iconografia stereotipata di “pizza e mandolino” nonostante sia Culla della Civiltà. E' vero che la microcriminalità locale è un forte deterrente ma il problema di fondo è che i napoletani medesimi non hanno consapevolezza della loro Storia; occultata quindi dimenticata e ciò equivale ad immensa mancanza di rispetto verso se stessi, verso le proprie radici ed anche verso le future generazioni. I napoletani dovrebbero imparare a camminare, metabolizzandole, attraverso le vestigia, le fonti ancora riconoscibili del loro Passato, ch’è molto più remoto di quello di altre città italiane, perché Napoli può offrire al mondo intero un panorama artistico che va dall’arte antica alla moderna, in traboccante profusione. A Napoli le pietre “cantano” e “raccontano”, sfogliando l’infinito libro di pietra e tufo che non consentirà mai alla nostra città di globalizzarsi negli usi, costumi e tradizioni e meno che mai nello spirito identitario di questa meravigliosa patria. Anche i napoletani più informati continuano a credere che la magnifica San Lorenzo sia la Chiesa più antica della metropoli e quasi non conoscono – se non, forse, qualche vecchio abitante dello storico quartiere Mercato-Pendino – una delle più antiche Chiese della città: S.Eligio Maggiore… Eppure, la celebre erma di fattura greco-arcaica della sirena Parthenia – conosciuta quale “Marianna ‘a Capa ‘e Napule”, il cui originale manufatto è ora visibile a Palazzo San Giacomo, costretto tra lapidi inneggianti ai martiri dell’effimera repubblica partenopea eppoi a Garibaldi e all’Italia UNA - trionfava in tempi remotissimi, alla stregua di una golena sulla prora della città ad accogliere le genti dal mare che nell’antico quartiere del Mercato, porta di accesso alla città, sbarcavano. Probabilmente, ornava un tempio dedicato alla sirena Parthenia. Nel medesimo quartiere, la popolarità assunta dal culto della Madonna Bruna nel tempo ha favorito sempre più il “primato” (se così si può dire) della vicina Chiesa del Carmine, togliendo smalto e afflusso di fedeli alle splendide chiese, architettonicamente UNICHE, di S.Eligio (angioina) e della ancor più antica San Giovanni a Mare (aragonese, così detta perchè il mare la lambiva), vittime per anni anche dell’incuria che segue all’oblio. Esempio eclatante dell’incuria è anche la Chiesa di Santa Croce al Mercato, oggi chiusa per restauri…lenti… ed ormai dimentica dell’icona simbolica che provvide ad ispirare la sua fabbrica: la stele in pietra sormontata da una croce, a ricordo del supplizio di Corradino di Svevia nella pubblica piazza… Addirittura, questo tempio - restaurato religiosamente dai Borbone quando andò distrutto a causa di un incendio sviluppatosi in seguito allo spettacolo pirotecnico del falò del vicino campanile del Carmine - fino a qualche anno fa, veniva impropriamente utilizzato quale deposito di giocattoli… Nella piazza, le due antiche fontane settecentesche che servivano per abbeverare il bestiame, nonostante siano state restaurate, sono state ancora derubate dei glifi e dei leoni che ornavano di ognuna le quattro vasche e trionfano, come obelischi, sulle montagne di rifiuti, dalle quali - specialmente durante ogni "alta marea" di "emergenza monnezza" - spuntano per un terzo della loro altezza, come gli "zen" dalle cuspidi delle piramidi d'Egitto. Nel medesimo quartiere la Storia e le Vestigia ad essa connesse sono state orribilmente accerchiate e sommerse dalla speculazione edilizia, mediante la costruzione di mostruosi condomini da squallida periferia…l’antico “mercato” del bestiame che vi si teneva e le botteghe artigiane e le corporazioni che vi pullulavano sono state sostituite da altri tipi di commerci….La Storia, con i suoi Corradino, Masaniello e fra’ Diavolo, emblemi della nostra Identità, giace appassita e incolore solo in polverosi tomi e volumi addormentati sugli scaffali delle biblioteche, scritti in maggior parte da stranieri conoscitori e amanti della nostra Civiltà. Ma la Storia non può morire: non avremmo un futuro senza cognizione del passato! La Storia è come una rosa del deserto; basta una sola goccia di rugiada, per rianimarla. Celebrare i nostri trascorsi significa anche sottolineare l’indistruttibile connubio tra Fede e Civiltà che ha caratterizzato, nei secoli, la Tradizione del popolo napoletano, il suo stesso humus. E’ bene ricordare che il solo centro storico di Napoli conta più chiese dell’antica città di Barcellona nella cattolicissima Spagna. Ed è estremamente importante, in questa cruenta epoca di confusione e declino morale, riproporre alle anime senzienti ma distratte quell’inscindibile connubio, anche solo attraverso semplici informazioni, senza scomodare gli accademici di solito impegnati in vetusti salotti d’elite, che finirebbero col distogliere la già scarsa attenzione che lo stress della vita moderna è in grado di concedere ai comuni mortali. Le antiche pietre riprendono a “cantare” ed a raccontare le storie della nostra Storia, tra le cui pagine poter ritrovare qualcosa di bello e di buono che stimoli positivamente la consapevolezza del presente mediante la cognizione del passato, perché sia possibile intravedere un possibile futuro per la nostra Civiltà. Necessita più che mai offrire Napoli ai napoletani, perché se ne riapproprino consapevolmente. Perché la amino e la rispettino... Perchè non si può amare ciò che non si conosce!

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Messaggio N°86 del 18-12-2006 - 20:44
Tags: Identità

Bandiera identitaria
dagli appunti di Angelo Manna

... La lingua è corpo, non è testa, è sangue, non è cervello. Le sue chiavi sono magiche ed è il popolo a custodirle. Una parola pronunciata da un popolano ha un senso e un sapore che non sempre possono essere colti, compresi dal letterato che è abituato a starsene comodamente dietro una pila di libri, dietro una scrivania nel suo studio isolato, panoramico, privilegiato da una grande quantità di lauree e diplomi, luccicante di coppe e di medaglie. E così un modo di dire racchiude a volte un’esperienza storica che il popolano non conosce ma che ripetendo fa rivivere, e che il dotto, il letterato,perfino l’esegeta non riescono a penetrare, se non si calano in esso con umiltà.La lingua di una nazione non è quella che parlano i suoi reggitori, ma è quella che parla il suo popolo, perché è il popolo il suo “inventore” continuo, il suo sacerdote, il custode delle sue ortografie e delle sue fonazioni. I letterati la forzano, la violentano, anticipano abusivamente evoluzioni che non è detto che naturalmente si verificherebbero, e che, semmai dovessero verificarsi, si verificherebbero secondo natura, e cioè per gradi, rispecchiando l’evoluzione sociale del popolo: perché popolo e lingua hanno sempre lo stesso identico destino.
La lingua è il termometro della civiltà di un popolo, il popolo è una vicenda narrata dalla propria lingua.

Nella lingua di Napoli tutte le sofferenze del popolo di Napoli, tutte le felicità, i sentimenti, i moti dell’anima e della testa. Un letterato che violenti il linguaggio del popolo e in TV faccia dire ad uno dei suoi personaggi inventati da lui “ me so’ comprato dudece ova” tradisce il popolo il quale ha sempre detto “ m’aggio accattato na dozzina d’ova” , inventa, abusa, tradisce Napoli per una manciata di milioni: e la scusa che il suo lavoro traditore deve essere compreso anche a Pordenone e a Pinerolo è un’aggravante. E’ corpo la lingua di un popolo, non è mai testa, è sangue, non è cervello. E le sue chiavi sono magiche, ed è il popolo, soltanto il popolo a custodirle.

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Messaggio N°82 del 15-12-2006 - 17:55
Tags: Identità

Il silenzio di Megaride
di Marina Salvadore

Lei era solare, flessuosa, appassionata e ciarliera. Viveva attaccata alla sponda di Partenope, portandosi dietro l’oltraggio della sua coda pescina che non le consentiva di toccare terra, di camminare, correre, saltare sulla terraferma. Viveva perennemente attaccata allo scoglio, per illudersi di condividere con i pescatori di sotto il Castel dell’Ovo un vivo spirito di condominio, per sentirsi parte di quel popolo del quale ascoltava, rapita, i suoni onomatopeici della lingua, i canti struggenti, gli accordi di chitarra, le parole d’amore, la passione di una lite tra innamorati… i passi di una danza popolare e il suono della tammorra… il profumo dei fiori d’arancio di una “pastiera” o di un corteo nuziale… Non si rendeva conto di quanto fosse stata fortunata a nascere sirena e non donna, a godere di quel gran privilegio datole dal suo punto naturale di osservazione del mondo…
poiché ignorava quanto Napoli fosse maledettamente bella… ma solo se vista dal mare e dal cielo.
Cantava Megaride, nelle notti di luna piena sul golfo, intrecciando le sue note argentine ai bagliori tremuli di stelle d’argento sul pelo dell’acqua. Cantava le storie, i volti, le voci di secoli e secoli di umanità, splendori e rovine di uomini e donne passati su quella sponda. Cantava del bene e del male di generazioni sempre appassionate, vitali, comunque sollecite nel bene quanto nel male… scolpite nella luce o nelle tenebre, comunque dotate di “carnalità”, di Passione; quel sentimento instillato nei cuori delle genti marinare proprio dall’umoralità scatenata del Mare Nostrum, esasperato dall’elemento del fuoco vesuvino ma assente del tutto, assurdamente, nei cuori puri delle creature marine che vivono di puro amore.
E la gente - gli indigeni ed i turisti - in ogni epoca volgendo lo sguardo all’orizzonte, spaziando estasiati nel surreale giro di giostra intorno al golfo… dal Castello al Vesuvio, lungo la corona dei comuni vesuviani, fino a Sorrento…quindi su Capri a fermare lo sguardo… sempre esclamava, rapita :”Dio! Quant’è bella questa Napoli!” senza mai rendersi conto che Napoli è quella che incombe alle spalle; non quella riflessa nella baia azzurra di Megaride, confinante da Napoli attraverso la linea segnata dai frangionde, dalle calette delle imbarcazioni dei pescatori, dalle terrazze delle taverne affacciate sul mare e dagli abbracci delle coppiette innamorate incollate ai muretti. Lei, avrebbe voluto gridarlo, ogni volta, che Napoli era solo lo specchio deformante in cui il suo regno si rifletteva nel fuoco e nel tufo, trattenendo nella “cartolina” i sentimenti, gli umori, la libertà e la potenza del dio del Mare, che tanto aveva influito sul carattere dei napoletani con il proprio carattere…fino a quando la divinità e Megaride e le altre creature acquatiche ancora avevano il piacere di parlare e di insegnare ai napoletani i misteri divini.
Megaride cantava le leggende del mare ai napoletani e dei napoletani raccontava le storie incredibili al Mare. Per millenni, un’armonia perfetta, una musica celestiale, un canto accorato si erano levati nel cielo su Napoli. Anche nelle epoche infami delle ferite procurate dagli stranieri invasori a Napoli, Megaride curava col sale del mare e quello delle sue lacrime materne le ferite, ninnando soavemente sul suo seno e con dolci melodie i vinti, i disperati, gli affranti figli suoi. E quel canto risanava e rigenerava… e lo spirito del popolo di Napoli riemergeva dagli inferi,ogni volta, con nuovi progetti e gioiose speranze.

Poi, lei vide nello specchio in cui si rifletteva il suo regno, tempo dopo tempo, sfarinarsi lentamente quel presepe di tufo e di fuoco, di case e di genti, si avvide che il sole baciava sempre più raramente quella città non più intrisa dell'aura azzurra del mare e che il grigiore del decadimento abbrutiva i suoi figli che avevano preso a concorrere alla distruzione della città, avendo smarrito oltrechè tutti i doni del mare, speranze ed attese, amore e passione… Megaride non cantò più.
Di lei si raccontò solo la triste leggenda del bugiardo e misogino Odisseo.
Non canta più, Megaride. Punisce con la peggiore delle vendette i suoi figli ingrati e traditori: con il Silenzio inquietante e terribile; unica potente arma di lotta ad uso delle generose ma implacabili Sirene!

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Inviato da kayfakayfa
il 16/12/06 @ 06:45
L'attualità del Mito, sapientemente impastata dalla fantasia dell'autrice con la realtà urbana di oggi, alimenta nel lettore nostalgiche rimembranze di un passato lontano ma tuttora vivo nella memoria di quanti sanno che Napoli non è solo la violenza e il disordine che purtroppo conosciamo, bensì una città dove Magia, sentimento, passione, genuina voglia di vivere si mescolano tra loro come affluenti di un Grande fiume in cui purtroppo convergono anche gli scarichi inquinanti di una società cosi tesa all'accaparramento di danaro e potere tanto da avere influito con la sua forza convincente a persuadere i napoletani a non fermarsi un attimo ad ascoltare la suadente voce della Sirena cantare la Vita, l'Amore. Perché Megaride non ha deciso di tacere; la sirena non ha mai smesso di cantare, sono i napoletani che hanno smesso da tempo di ascoltarla...
Bellissimo il tuo post!!!!

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Inviato da vocedimegaride
il 16/12/06 @ 10:45
Intanto, grazie per aver manifestato apprezzamento per il mio scritto. Trovo originale anche la "variabile" che hai offerto, dalla quale potrebbe scaturire un bel dibattito, posto l'amletico quesito: "E' muta la sirena o è sordo il napoletano?"

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Inviato da kayfakayfa
il 16/12/06 @ 14:52
Davvero molto stimolante l'idea di alimentare un dibatitto che abbia come spunto il dilemma "è muta la Sirena o è sordo il popolo napoletanto?" Se ti riesce di organizzare qualcosa del genere, tienimi presente, vi presenzierò molto volentieri! Buona domenica, Enzo

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Inviato da Anonimo
il 16/12/06 @ 15:58
Non resterebbe che tentare immergersi nello stesso Mare ove nacquero «i sentimenti, gli umori, la libertà e la potenza del dio del Mare, che tanto aveva influito sul carattere dei napoletani con il proprio carattere…fino a quando la divinità e Megaride e le altre creature acquatiche ancora avevano il piacere di parlare e di insegnare ai napoletani i misteri divini.». E ai napoletani di oggi c’è quanto basta ancora di vivo in loro. Non è morta , la poesia, la canzone. Per esempio quando Russo e Di Capua melodicamente inscenano «’I te vurria vasà». Ma la “sirena” partenopea di questo scorcio poetico struggente, dorme e con la sua bellezza sembra ammonire chi intende distoglierla dal sonno. Il mitico “silenzio di Megarite” non lo permette e allora non resta che entrare nel suo infero antro notturno e far seguito al sommo desiderio del “bacio” soggiungendo,
«Ma ‘o core nun m’ ‘o ddice ‘e te scetà, ‘e te scetà.
‘I me vurria addurmì, i’ me vurria addurmì
Vicino ‘0 sciato tujo
N’ora pu’i’... N’ora pur’i’.».
Ecco, io credo che è questo un modo di capire la realtà “marina” che è parte indissolubile del vero napoletano. Egli in tal guisa è poeta e cantore: pure se nun è ghiut’ a’ scola, resta semp’ ‘nu guaglion’ 'nnammurat' dint’ ‘o core. Da qualche settimana, colto da questo questo “sentimento” smanioso di un irrinunciabile “senso di libertà”, mi è piaciuto mettere su questo sonetto:
«QUANN’ERO GUAGLIUNCIELLO.
Ddoce è ‘a nuttata quanno
a fora, ‘o vient’ soscie forte.
Me stregn’ sott’ ‘e cuperte
e m’addormo penzanno.
Penzo a comm’era bello
quann’ero guagliunciello.
Complimenti per il post, molto vibrante. Gaetano Barbella

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Inviato da terranuova0
il 16/12/06 @ 19:08
Vedo con piacere che l'amico Gaetano è entrato nel mare nostrum che bagna l'isolotto di Megaride e da "perfetto " poeta usa il linguaggio della Bellezza e dei Colori tipici di chi ha nel proprio sangue l'azzurro del mare e il calore del Sole. Marina è brava: Mauro è bravo. Vocedimegride ormai viaggia a ritmi velocissimi verso il proprio essere un sicuro punto di riferimento di chi ama il Sud senza finti isterismi o pietas deteriore. Sono contento di Gaetano e conservo il piacere di averLo come Ospite graditissimo nel mio blog.
BRAVI. Antimo Ceparano

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Messaggio N°58 del 03-12-2006 - 12:47
Tags: Identità

La città del mistero: Napoli o Partenope

di Clara Negri

Napoli, anticamente Neapolis, ossia Nuova città, appartiene a una tradizione tutta incentrata sul mistero, l’occulto e il femminile. Essa, e il suo incantevole golfo, che idealmente va dalla Punta della Campanella a Capo Miseno, ha sempre goduto di condizioni terrestri climatiche e magnetiche, eccezionalmente buone.
Da circa tremila anni la zona partenopea palpita di vita non soltanto per la sua terra ubertosa e fertile (essa veniva appunto chiamata:Campania felix) ma soprattutto per la combinazione naturale dei quattro magici elementi universali: Acqua, Aria, Terra e Fuoco che hanno costituito l’amalgama ideale per le innumerevoli alchimie mentali di uomini antichi e moderni che si sono trovati a soggiornare in quei luoghi.
La città di Napoli è governata dal segno dell’Ariete e dal pianeta Marte, dio del Fuoco, quindi ottimo rappresentante del vulcano che la sovrasta: il Vesuvio. Ve, radice della parola Vesuvio, secondo alcuni studiosi deriva da Venere, sposa del brutto e gobbo Efesto, il fabbro degli dèi, che aveva le sue fucine giusto nei vulcani. L’amante preferito di Venere era però il focoso Marte, anch’egli, come Efesto, dio del fuoco, nonché del ferro, della guerra e…del sesso appassionato. Sappiamo tutti come finì la loro storia adulterina, dopo che Efesto bloccò con una rete il loro appassionato e illegittimo abbraccio amoroso e poi li espose agli sguardi e al riso di tutti gli dèi subitamente chiamati a gustarsi la scena. Non è forse un caso che il metallo specifico dell’Ariete e di
Marte sia il Ferro, che si trova in grande abbondanza proprio nelle acque sorgive della città, in particolare nella zona Chiatamone, che furono e sono tuttora chiamate Acque ferrate. Come detto, Napoli è la città magica per antonomasia ma è soprattutto città femmina perché ogni suo aspetto esalta i simboli femminili tanto vituperati negli ultimi due millenni esasperatamente maschilisti e fallocratici. Essa nasce nel IX secolo a.C. sulle rocce del Monte Echia, odierno Pizzofalcone, alle spalle di Santa Lucia. Secondo alcuni studiosi Echia risalirebbe a Euplea,altro nome dato ad Afrodite, la dea della bellezza.
A questa dea i rodii eressero un piccolo tempio in una grotta di Posillipo (che in greco vuol dire:pausa dal dolore), verso la Gaiola, innalzandole una statua marmorea ai cui piedi vi era un bassorilievo in marmo raffigurante scene dell’Olimpo.
Si racconta che molto prima che scoppiasse la Guerra di Troia alcune tribù preelleniche di razza camitica, scacciate dalla loro terra di origine e abilissime nel solcare i mari con agili imbarcazioni, si trasferirono sulle coste dell’Italia meridionale, e della Campania in particolare. Queste tribù, chiamate dei “Teleboi” (egei e rodii) si stabilirono quindi sulle nostre coste, attirati dalla dolcezza del clima e dalla bellezza dei luoghi. Costoro praticavano il culto delle Sirene, culto risalente però a tempi ancora più remoti degli antichi popoli siro-anatolici dell’Asia Minore, assimilati solo nel 1400 a.C.
Questo culto è molto più complesso di quanto si può immaginare perché affonda le sue radici in quello delle dee-madri, un tempo considerate le uniche detentrici della Conoscenza, della vita e della morte. I nostri lontani progenitori avevano infatti un’unica grande divinità femminile-lunare che occupava il posto principale: Dêmeter, ovvero Dâ Mater o Terra Madre), riconosciuta come padrona del mondo visibile ed invisibile, della terra, del cielo e delle acque. Vi erano poi divinità femminili minori associate a questi elementi, e al mare in particolare, alcune chiamate Ninfe, altre Sirene.
Le Sirene, in un lontano matriarcato, erano esseri alati col viso di fanciulle e il corpo di uccelli, detentrici della parola sacra che ammaliava per la loro dolcezza e veniva ascoltata come divino canto. I loro luoghi di residenza erano soprattutto le meravigliose regioni del meridione tra Napoli e Sorrento, che venivano chiamate Seirenea, nome che indica una specie di api, insetti che possiedono un simbolismo regale che risale addirittura a Caldei ed Egizi. A questi insetti è associato il dono dell’eloquenza, della poesia e dell’intelligenza e, nei misteri Eleusini, anch’essi femminili, le sacerdotesse venivano chiamate api. essendo considerate alla stregua di sacerdotesse o pitonesse che possedevano il dono della profezia. Nell’Odissea di Omero esse così parlano: “noi tutto sappiamo di quel che avviene sulla terra nutrice dove gli uomini nascono, vivono e muoiono. Nessuno si allontana da qui se prima non sente (il nostro canto) e pieno di vigore riparte, conoscendo più cose”.Col finire dell’era matriarcale e col nascere di quella patriarcale il femminile però venne sempre più demonizzato e il loro corpo di uccello fu trasformato in quello d’un pesce, in rapporto analogico col simbolismo delle acque, lunari e femminili.
Eraclito le definì “graziose baldracche” e Omero le situò nei paraggi dell’Ade, la Porta degli Inferi, che in seguito verrà individuata nel lago d’Averno.
Così, a poco a poco esse persero il loro carattere iniziatico e ammaliatore per entrare in quello infero, lascivo e distruttore dei mostri femminili lunari connessi agli abissi marini. Ecco perché col tempo divennero simili alle Lamie o arpie, nemiche dei navigatori che prima vengono sedotti dal loro canto ammaliatore e poi, caduti in loro balia, crudelmente uccisi.
A causa dell’inganno di Ulisse, che superò indenne il pericolo mortale facendosi legare a un albero dai suoi marinai a cui però tappò ben bene le orecchie, le sirene Ligea, Leucosia e Partenope, ferite e umiliate, si dettero spontaneamente la morte nelle acque di Capri e, mentre i corpi delle prime due approdarono lontano, quello di Partenope venne ad essere ritrovato sulle rive di Megaride, nella zona compresa fra l’attuale Castel dell’Ovo e l’antico Borgo Marinaro. Gli abitanti del luogo, impietositi, le eressero un sepolcro e sorse così la città che prese il suo nome: Partenope.
Per questa ragione l’antica Napoli crebbe e si sviluppò nel culto d’una semi-dea che la iniziò virtualmente ai misteri e all’occulto. La stessa cittadina di Sorrento dovrebbe avere un rapporto etimologico con la parola Sirena, così come lo hanno certamente le isole Sirenuse, enormi scogli oggi chiamati Li Galli, di fronte a Positano. A testimoniare l’antico rapporto tra Napoli e l’oracolo della Sirena oggi si può ancora ammirare la splendida statua che raffigura una Sirena tra due delfini nell’aiuola di Piazza Sannazzaro. Vi è poi il Corso Sirena che da Piazza Procelle attraversa Barra oltre a numerosi elementi ornamentali su portoni di antichi palazzi nella zona della vecchia Napoli.
 

web personale di clara negri www.astrarmonia.com
immagini di Mauro caiano

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0

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Messaggio N°32 del 22-11-2006 - 19:33
Tags: Identità

Considerazioni sui massimi sistemi
di Antimo Ceparano

E’ impensabile che degli uomini debbano usare violenza verso i propri simili. Accade che in metropoli coeve attrezzate con i più moderni sistemi di pensiero alcune frange della popolazione vivano una condizione “infernale”: costrette a subire le leggi di quello che loro stessi chiamano “sistema” . Questi uomini convivono con l’incubo di una condanna a morte spesso emessa nei loro confronti da tribunali eletti da personaggi raccapriccianti e senza nessuna regola morale.
E’ il caso di quella genia di furfanti denominata “camorra”; in realtà la “camorra” come organizzazione sociale non esiste: esiste al contrario una malavita gestita da clan territoriali spesso in lotta tra di loro, un po’ come succede in Russia, negli USA o in Cina. La camorra è un’organizzazione che con mezzi illeciti tende ad appropriarsi dei beni dello Stato o del singolo: se questa definizione è esatta allora significa che vi sono miriadi di camorre e che questo termine deve intendersi estensivo e usabile anche per altre realtà territoriali, oltre che per quella napoletana.
Il generale Della Chiesa usava dire che la mafia non esisteva: credo che intendesse dare al significato della parola mafia questo tipo di significato.
Combattere le camorre si può e si deve: una prima sfida sarebbe quella di procedere all’istallazione di un inceneritore per smaltire i rifiuti urbani del napoletano. Sappiamo che il riciclaggio dei rifiuti urbani è da sempre un business delle camorre territoriali. L’attivazione di un inceneritore significa procedere ad una “messa in esercizio” di risorse umane sotto-utilizzate e non impiegate sul territorio ma che l’ente comunale e regionale paga e che rappresentano dei costi notevoli a carico dei contribuenti: avremo così, l’esempio valga per più casi, vigili urbani che nel mentre devono controllare il territorio a loro affidato circa il perfetto utilizzo dei contenitori dei rifiuti (la plastica nei contenitori della plastica, il vetro in quello dei vetri e così via…) possano svolgere un’adeguata funzione di educatori all’uso del sociale, specie nei quartieri del sottoproletariato urbano. Allo stesso tempo l’inceneritore può servire da volano per l’attivazione di business paralleli al riciclaggio dei rifiuti, quali il settore dei fertilizzanti, quello del riciclaggio della carta (oggi ecologicamente conveniente), quello del riciclaggio del vetro, oltre a quello già nominato dell’energia alternativa. Se l’On. Bassolino ha fallito è perché non ha saputo, o voluto, cogliere il nuovo che veniva da una sfida seria e di vera trasformazione del territorio urbano. Il sindaco signora Jervolino si è adeguata alla gestione del quotidiano ma di fatto è come se gestisse l’evolversi di un tumore maligno.
Le industrie sul territorio che oggi frenano la caduta vertiginosa della città verso canoni sud americani, quali l’Ansaldo e l’Alenia, dovrebbero entrare a pieno titolo in un organismo extra parte dove programmare, insieme ad altre realtà provenienti dai settori più vari, lo sviluppo industriale di una città che essendo portuale non è assolutamente a vocazione turistica! Ma che il turismo può affiancare e trascinare verso una maggiore crescita economica.
Manca a nostro dire un coordinamento tra le forze sane e una corretta visone non populistica ed elettorale delle forze legate alla politica.
Napoli, il Sud ha tutto per farcela: mi domando c’è la volontà e la reale convenienza per uscire dall’emergenza voluta?
Pace e gioia.

Inviato da: crocco57 - Commenti: 0

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Messaggio N°28 del 21-11-2006 - 23:07
Tags: Identità

chiAma Napoli
di Marina Salvadore

Chi ama Napoli ha intima consapevolezza che Napoli esiste oltre ogni volgare luogo comune, oltre ogni pittoresco folklore, oltre la menzogna storica istituzionale,…oltre l'offesa dell'ignoranza e del tempo. Chi ama Napoli è ancora capace di vederla pulsare di vita nelle antiche profondità del suo corpo di giallo tufo imbibito di sole, di respirarla sulla superficie del sacro calice d'acqua salata del golfo, di annusarla lungo il sentiero delle spezie che cinge come corona il suo cuore ardente di vigne, di agrumi, di arte, di storia… profumato di umano genio e di tuberosa; frutti e fiori…RADICI della sua fertile terra vulcanica.
Silenzio! Napoli parla a chi sa ascoltarla e racconta:
"Sono nuda di panni eppur vestita di sale e d'acqua, di fuoco e di vento e dall'eternità le mie ali leggere e possenti trattengono nel fiero abbraccio questo cristallo di Paradiso, caduto sulla Terra direttamente dalle mani congiunte di Dio.
Io sono l'Angelo... il Deva, lo Spirito Immortale... La Stella… la Sirena; ora il Castello su Megaride… ora Nisida perduta dalle braccia di Posillipo… quindi il Faro di questo luogo che mi fu affidato. Ho i mille nomi che mi hanno imposto e altrettanti volti; ognuno coniato nel tempo… dai "tempi" dei Mortali. Vi fu chi, tra gli eroi omerici, mi scorse tra i flutti di questo mare turchino e di metallo o tra le nuvole arancio e viola di questo magnifico e terribile Cielo Meridiano... o, anche, tra le pieghe della costa frastagliata che qui si lancia - in lungo e in largo - dall'alito caldo di messer Vesèvo nell'abisso, in rapido balzo giù per le chiome dei pini, tra i rovi e la ginestra, tra vestigia di rocche, ricordi di pizzi e merli di templi e castelli decaduti, per sfiorare più in basso gli odorosi agrumeti a mezza costa, vigne e pergole, tra le cupole di mosaico e d'oro zecchino delle chiese ed i tetti di rame e coccio dei monasteri… per affondare le membra giù in fondo, nei dolci giardini di fiori e spezie, palmeti, gerani, affatate piantine di cetrangolo e fichi d'india, distribuiti tra sfarinate di casarelle linde e austeri palazzi, su e giù per scale, vicoli e scese… eppoi, per numerose torri, grotte, insenature e fiordi delle minuscole marine, tra barche e reti di pescatori, a gloriosa corona dell'orlo dell'abisso Mistero Mare.
Altri, mi munì d'ali d'uccello e mi rassegnò a popolar colonie di strigi piumate sulle
pareti scoscese della costiera e sui minuti isolotti ... oppure mi appellò regina delle Sirenuse, quando alle ali gallinacee e agli speroni impietosi gli uomini preferirono il fasciarmi in un corpo invitante di donna, dal canto suadente e dalla coda pescina, perfidamente seducente perché impenetrabile, asessuata, contronatura, priva di fertile ventre... Oh! Quant'è vero che la bellezza pura incute più gelido orrore della mostruosa bruttezza! Non vi è forse più familiare l'Ade di questo sfolgorante Paradiso, che voi osate definire accecante? Sempre e in ogni modo mi hanno percepito magnifica e terribile, come magnifica e terribile è la suggestione immutata di questo luogo che, invece, stringo materna quale delicata creatura sul mio petto pulsante all'unisono col pulsar delle stelle ed al ritmo incessante del respiro del mare; talvolta, ninnandola al suono di conchiglie e corni, d'antiche cetre, liuti, flauti ed archicembali; tal' altra sollazzandola col tamburello, il triccaballacche, il putipù e la voce di un posteggiatore che accompagna e che racconta l'amara storia del diletto figlio adolescente Corradino o di uno dei tanti Masaniello "nemo propheta in Patria"... Di quando - a questa creatura -rammento il suo antico censo marinaro, di quand'aveva la flotta più imponente del Mediterraneo ed anche, forse, d'Europa... ed allora improvviso sale, come da canne d'organo, una musica trionfale: è il dio del vento che sfiora con le sue lunghe dita i pinnacoli e le guglie delle nobili magioni e guglie delle nobili magioni e guglie delle nobili magioni arroccate sotto un cielo di stelle, laddove la storia di Napoli da qui s'innalza come preghiera al Cielo, quale una cattedrale gotica scolpita dalle note e dai silenzi dei fasti. Lo sciabordio nelle marine, la risacca, la spuma sulla e, la risacca, la spuma sulla battigia della calma, la tempesta e il fragore dell'onda, il frangersi dei legni sugli scogli,… l'urlo vetroso del pietrisco… Lo scalpiccio di sandali dei milioni di antichi passi sulle scese del Decumano… Il crepitar dei fuochi di taverna, in un presepe affollato di San Gregorio Armeno… il vociare scanzonato dei bottegai: così è qui composta l'orchestra ed il coro di Dio!
Io sono l'Angelo in piedi sull'ago della tua bussola, segno il Sud tra i petali odorosi d'Oriente della Rosa dei Venti che punta sempre il vorace Nord geloso. Io sono l'anima della fornace che cuoce i pani per il desco, le misere terraglie per le umili dimore e le pregiate maioliche variopinte per i ricchi templi. Sono lo scrigno di mille meraviglie… il forziere forzato dai ladri d'ogni tempo e d'ogni guerra.Sono il genio che muove le mani del vasaio, del teatrante, dell'artigiano di mille nobili mestieri ormai scomparsi; quello che dirige le mani del direttore d'orchestra nel tempio del San Carlo ed a San Pietro a Majella e quelle che infilano l'ago che a Mergellina e a Coroglio ripara con pazienza le reti e le vele sulla spiaggia… Sono l'argento dei guizzanti pesci del mare e delle mandolinate lune… piene di milioni di stelle… la farina e l'acqua e il vento che mescolano nel tripudio a Cerere la sacra libagione del frumento. Sono la luce del Sole ardente, il plasma trasfuso ai succosi frutti delle limonaie, il fuoco dell'elisir di lunga vita, racchiuso religiosamente in ampolle, come reliquia vivente del santo patrono di questa Terra.
Pigio il torchio delle profumate cartiere e con inchiostro trasparente d'acqua di mare scrivo sulle migliaia di fogli, odorosi di fiori campestri, tutte le storie della incredibile Storia di quest' ameno luogo. Io sono - assieme - l'eccelso spirito di Partenope e la carnale sua serva Napoli! Ho il potere, da millenni, di risvegliare dalla catarsi i dormienti, i misogini odissei, gli ignavi, gli indifferenti, i distratti, suscitando con il fulgore della mia spietata bellezza e con il fuoco di questo cristallo di Paradiso, lo sgomento, la scossa, l' "insulto opossico" necessario ad ogni creatura che deve rinascere al mondo superiore, alla consapevolezza… alla maestosità di Dio, perché non si perda in eterno nel vuoto infinito della bestemmia di un Limbo o vaghi esule morto vivente nella Terra di Mezzo dei suoi dèmoni istinti. Io, spezzo il fiato! Rigenero! Tu, invocami se m'ami…Nelle tue tristi notti forestiere CHIAMA NAPOLI ed io, Partenope, verrò a regalarti una carezza, una canzone…la promessa di un ritorno e… un sogno."

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0

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Messaggio N°26 18-11-2006 - 22:06
Tags: Identità

LA FEBBRE E’ PROSSIMA
di Andrea Balìa

Bisogna smetterla e fare attenzione. Siamo vicini all’anno zero: il Sud sta esplodendo! E’ più d’una sensazione; è come quando avverti che non stai bene, che davvero qualcosa non funziona e sta per venirti la febbre. Non stavi già bene, non eri in forma, ma ora sai che la malattia sta per colpirti. Il Sud deve smetterla con l’atteggiamento, come si dice a Napoli, di “attaccare il ciuccio dove va il padrone”, ovvero con il fatto che un Re vale un altro per cui si accomodino anche i Savoia, con "andiamo a fare la guerra per il nuovo Stato" tanto cantiamo “ ‘o surdato ‘nnammurato”, con "si accomodino pure il Duce e il suo fascismo" e facciamoci un’altra guerra, con "il PCI ci salverà" ma poi più che a Torino non ci porterà, con Lauro e l’elemosina dei suoi squallidi pacchi di pasta e paia di scarpe, con il codismo alla DC e al suo trentennio che ha fatto qualche nuovo ricco collocato sulla collina di Posilllipo in case panoramiche che trasudano voti di scambio, ma ci ha lasciato una città scassata con periferie ghetto e con una camorra sempre più grossa ed infiltrata, con Bassolino nuovo acclamato monarca - pieno d’idee ma senza soldi e troppi amici - per una corte piena d’intellettuali saccente e autoreferenziale ma sfacciatamente impotente alle problematiche dell’ex capitale, con una strizzatina compiacente al nuovo unto del Signore discendente dalle brume lombarde che "vuoi vedere ci compra il Napoli" (e meno male che è arrivato De Laurentiis che almeno è di queste parti) e possiamo riciclare i vecchi democristiani in un nuovo “forzoso” papocchio politico. Insomma basta! Ad onor del vero due volte, dico due, e prima che qualcuno pensi me lo sia dimenticato, la reazione (ma sempre del popolo e mai dell’intelletto) c’è stata : quella dei “briganti” – purtroppo lontana e, ancor oggi, ai più quasi sconosciuta – contro il nuovo Stato che chiudeva (ahimè!!!) i conti col vecchio e secolare Regno del Sud, e una seconda volta con le giornate napoletane di resistenza nell’ultima guerra fatte da scugnizzi, “muschilli”, e da quella parte di popolo che il Bocca continua a chiamare “plebaglia incivile da millenni”. Sbaglia due volte il decano giornalista – corroso da una rancorosa vecchiaia – perché :
1) la resistenza mica l’ha fatta solo lui e quindi per quale ragione se ne dimentica e quella delle giornate di Napoli sarebbe di serie B rispetto alla sua, e non tale da essere ricordata e fargli dire e ritenere un popolo eroe invece sempre appellabile come “ plebaglia incivile” ?
2) se fossi in lui non mi avventurerei indietro nei millenni dove il paragone con le zone delle sue amate montagne lo vedrebbe perdente in paragoni di cultura, civiltà, status economico, condizioni igieniche, ecc… E poi glielo si dica una volta e per tutte : non ci racconta nulla di nuovo…infine lui e qualcun altro sono solo dei pivelli replicanti di lontani e cattivi maestri (Croce docet!) che ben conosciamo!
Tornando a noi : quei due esempi dicono che è passato troppo tempo dall’ultimo (più di mezzo secolo) e che o ci si organizza o l’esplosione derivante dal degrado economico e civile, il sottosviluppo, la criminalità micro e maxi con regia camorristica scasserà definitivamente il giocattolo. Ma l’avvertimento a smetterla vale anche per il Nord e lo Stato italiano. In un sano e oserei dire doveroso egoismo - derivante da una conoscenza e consapevolezza storica -, e visti i nostri problemi, non è che dobbiamo affliggercene più di tanto. Il Nord scoppierà di conseguenza a scapito di quell’idea d’Italia che tale è rimasta. Non servono eserciti, pannicelli caldi e qualche retata temporanea di polizia. Serve ben altro : banche, infrastrutture, imprese, lavoro, ecc…basterebbe guardare alla Germania che è ritornata una dopo il muro di Berlino, ed a fronte d’una volontà, non d’annessione ma realmente di recupero ed integrazione, ha ricostituito con sacrificio ma determinazione una nazione con diritti ed economie ugualitarie in pochi anni. Noi possiamo attendere e poi organizzarci, se succedesse come invoca un nostro compatriota in fondo ad un suo articolo : “facite ‘sta maronna ‘e secessione e jatevenne..”, oppure adoperarci perché si affronti veramente il problema Sud (auspicabile ma molto poco praticabile con questi politici centro/nordisti e con l’ascarume di quelli meridionali), o ancora seguire la difficile ma dignitosissima idea separatista di Zitara. Poi facciano come credono, e come è presumibilmente prevedibile, ma attenzione a tutti : la febbre sta per arrivare!

Inviato da: napolitudine1 - Commenti: 5

Inviato da vocedimegaride
il 18/11/06 @ 22:25
Bel contributo, Balìa! Un'unica eccezione: non crederai anche tu, spero, alla leggenda metropolitana di "una scarpa prima; l'altra a voto avvenuto" che circolava sul conto di Lauro... è esattamente come quella del pane e delle brioches costruita sul mito negativo della regina di francia... o come quella che riguarda i comunisti pedo-antropofagi....nevvero?

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Inviato da Anonimo
il 01/12/06 @ 18:53
Non mi interessa e non credo alla leggenda della scarpa prima e dopo. So solo che i napoletani di tutto avevano ed hanno bisogno, tranne che dell'elemosina e di un'edilizia selvaggia che fu permessa; il tutto permeato da un atteggiamento paternalista. Andrea Balìa

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Inviato da terranuova0
il 19/11/06 @ 11:28
Lauro è stato un grande Sindaco infamato dalle legioni massoniche. antimo ceparano

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Inviato da Anonimo
il 01/12/06 @ 18:57
Sul fatto che uno che regalava pacchi di pasta e permise quel pò pò di edilizia selvaggia, e come ciliegina sulla torta era pure del Partito Monarchico Savoiardo, fosse un gran sindaco avrei qualche dubbio e stenderei un velo pietoso! Andrea Balìa

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Inviato da kuntz_t
il 19/11/06 @ 14:06
http://video.libero.it/app/search/ index.html?q= afterhours&nr=9&result=9

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Messaggio N°12 del 15-11-2006 - 13:55
Tags: Identità

Primato Meridionale
di Nunziante Minichiello

Nel 1231 Federico II, di ritorno dalla Crociata, assistette a Venosa alla commedia in latino De Paulino et Polla scritta per l’occasione da Riccardo da Venosa.
Per qualche meridionale il Medio Evo era finito con oltre quattrocento anni di anticipo rispetto alla data convenzionale e con oltre settecento anni di anticipo dallo stesso Meridionale veniva descritta la società attuale. Questo Meridionale risponde al nome di Riccardo da Venosa, che affermava, tra le altre anticipazioni, come riportato in “ELZEVIRI LUCANI” di Bruno – Caserta – Guerricchio – Padula e Tortorelli ( edizioni OSANNA Venosa ): “E’ buon compagno il danaro: qualunque cosa tu gli chieda, esso ti dà; col danaro tutto puoi ottenere. Per denaro verranno a te i pesci dal mare, dal monte le capre, le pernici dall’aria, le lepri dai boschi. Solo per denaro il medico cura il malato; e solo per denaro l’avvocato tratta le liti di coloro che sono in causa. Il danaro allieta gli infelici, consola i tristi, rende attivi i pigri, fa correre anche gli storpi, strappa la fame dallo stomaco, la sete dalla gola, gli affanni dal petto, acquieta gli irati. Col danaro lo stolto diventa sapiente, il disonesto è onesto, il villano è nobile, il cattivo è buono. Esso fa cantare solennemente i preti”… ( Riccardo da Venosa, Le nozze di Paolino e Polla, trad. e note di G. Pinto, NANI, Como 1930, vv 109 – 122 ).
Queste rivoluzionarie affermazioni dovettero fare il vuoto intorno al profetico Riccardo, che forse pagò caramente le sue intuizioni, che però avrebbero potuto evitare sofferenze e sacrifici a tante generazioni.
Non può esistere una nazione od una comunità cui fu tolta coscienza, dignità, orgoglio.
I Meridionali per poter partecipare con nome e cognome alla vita dell’Universo abbiano l’umiltà ed il coraggio di accettare le disgrazie, gli errori, le debolezze, che caratterizzano la loro storia ed in questa cercare anche motivi e motivazioni per un onorevole futuro.
(www.minichiello.it)

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0







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