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LA BANCA CHE IL SUD NON HA
di Giulio Tremonti, già ministro Economia e Finanza
IL MEZZOGIORNO, IL RILANCIO DELLO SVILUPPO E LA BANCA CHE NON C'E'

Oggi, con una grande cerimonia ufficiale, si apre a Bari la vetrina del Mezzogiorno: la Fiera del Levante. Facciamo qui di seguito un discorso che ha qualche probabilità di non essere fatto. Il Mezzogiorno d'Italia - più di 20 milioni di abitanti - è
l'unico grande "territorio" d'Europa a essere sostanzialmente "debanca-rizzato". Non è stato così, per secoli.
E non è così, nel resto d'Europa.
Dalla Scozia alla Catalogna, dalla Baviera alla Boemia ai Paesi Baschi, tutti i grandi "territori" d'Europa hanno, di diritto o di fatto, banche proprie. Vecchissime o nuovissime, grandi, medie o piccole, comunque banche autoctone. Banche che dei propri "territori" testimoniano ed esprimono, sosten-gono e proiettano la vitalità economica e sociale. E opposto nel Mezzogiorno. Certo molte banche sono attive nel Mezzogiorno, ma non sono banche del Mezzogiorno. Non si tratta di una differenza secondaria o finanziaria. Si tratta di una differenza primaria e sostanziale: sociale ed economica, politica e storica. Fu la fine del processo di sviluppo del Mezzogiorno: senza più una sua guida, sotto una guida esterna, l'economia meridionale si fermò. Le classi lavoratrici restarono sulla terra. O furono poi spinte alla emigrazione.Le classi dirigenti prima, e poi altri vasti strati di popolazione, iniziarono invece una loro speciale migrazione interna, dentro la burocrazia del nuovo Stato centrale. Sopravvisse tuttavia, tanto era forte, il sistema bancario meridionale, basato sui grandi istituti di Napoli, Sicilia, Sardegna, attivi nel Mezzogiorno, nel Nord e all'estero. E su una vasta e complementare rete di banche territoriali. Poi di colpo - più o meno nell'ultimo decennio - tutto è imploso e precipitato, fino al collasso. Per cause diverse: per le radicali mutazioni intervenute nel sistema di aiuti di
finanza pubblica, italiani ed europei; per l'occupazione "politica" dellebanche, quasi tutta degenerata, ma da quasi tutti tollerata. E per altro ancora. Non è questa la sede per processare il passato, ma per guardare al futuro. L'attuale "debancarizzazione" del Mezzogiorno è tanto sintomatica quanto problematica. Essa è insieme una prova e una causa della sua crisi. In Europa c'è una doppia costante: lo sviluppo si produce e si muove essenzialmente "per territori" e tutti i "territori" hanno proprie banche.Perché il capitale finanziario è certo necessario per lo sviluppo ma, se anche se ne dispone in quantità sufficiente, comunque da solo non basta. E' infatti il "territorio" in sé che ingloba ed esprime le conoscenze strategiche essenziali per il suo sviluppo. E' solo il "territorio", con la sua popolazione, con il suo capi tale umano che, usando il capitale finanziario, può produrre lo sviluppo. Non è così nel Mezzogiorno, unica terra d'Europa in cui le costanti sono diverse: la finanza pubblica è quasi per compensazione storica chiamata a sostituire da fuori quella privata e quella privata - quella che c'è - non è comunque propria del Mezzogiorno. Il problema non è tanto oggettivo, quanto soggettivo. Non è tanto e soltanto quanto credito si eroga ed a che prezzo.
E soprattutto chi lo eroga: con quale spirito, con quale reale impegno. Non sempre, ma a volte ci si può spingere con lungimiranza oltre il gelido calcolo dei ratios. Le "leggi finanziarie" sono certo necessarie, ma da sole non sono sufficienti. A loro volta, le banche che operano nel "territorio", ma non sono del "territorio", non bastano. Nel sistema manca un altro pezzo, che non si crea e non si porta da fuori. Con promesse che creano illusioni e delusioni che portano nuove promesse. In un'eterna novena sociale. Fino a che non sarà il Mezzogiorno stesso a terminarla. Il Mezzogiorno non si può rassegnare ad avere un passato, ma non un futuro. Se ha un suo passato, può avere un suo futuro. Ed è tempo che smetta di guardare nella sua ombra. Sarebbe solo una tra le tantissime cose che si possono
fare cose pratiche o cose simboliche,e queste non meno importanti di quelle, ma ripartire dal Mezzogiorno per far rinascere nel Mezzogiorno una sua banca, non è impossibile, è necessario.
(Giulio Tremonti - "Il Corriere della Sera" del 11/09/2004)
Il nostro signor ministro (ex), vero esperto o, meglio, acclamato "tecnico di settore" coram populo, al di là di certe affermazioni che per sua bocca - oggi - parrebbero incredibili non avendo mai durante il suo ministero manifestato tendenze meridionaliste, ha dichiarato ciò che da cent'anni van dicendo quei "poveri pazzi" di meridionali-meridionalisti d'onore, mai "ascarizzatisi" nonostante il forte vento di procella spirato sul Sud. Non sta a noi chiederci i motivi di questa postuma "conversione sudica" (la Politica è sempre machiavellica, se veramente degna del suo nome) ma accettiamo di buon conto, come atto liberatorio, le sue dichiarazio-ni… Un solo appunto: quando dichiara che "…le banche che operano nel territorio, ma non sono del territorio, non bastano."… ha avuto, nel contempo, la lungimiranza di porsi il legittimo quesito circa la possibilità di istituzione, oggi, di banche del Sud, nel Sud, per il Sud?… L'esposizione è stata magistrale, corretta, lucida e degna della sua professionalità… ma… professor Tremonti … il problema da lei proposto è un assunto filosofico e non un corollario matematico, poiché è un'ipotesi e non prevede soluzione; una soluzione che lei stesso si esonera dall'avanzare! Un'utopia!… Come ed in che modo potremmo crearci una autoctona Banca Nazionale del Mezzogiorno, se il Banco di Napoli, tragedia annunciata, è appena spirato nelle braccia del San Paolo di Torino… . Se l'esempio della Cassa per il Mezzogiorno è altamente letale, … se il piano romano Keynesiano anni '60, fotocopia Roosvet è un ricordo terribile… Qual è la soluzione? … Forse, qualcuno sta fomentando teorie secessioniste di opposto segno padano - sudico - per far traballare le già scarse certezze del Governo odierno?…Già, perché l'unica soluzione - tra le "sue" righe - sarebbe quella della creazione di uno Stato Meridionale, un altro Stato… .
Invece, i meridionali da tempo si battono perché gli venga riconosciuto l'onore di essere considerati, tra gli Italiani, i PRIMI… non foss'altro che per il fatto di aver partecipato per circa il 65% alla fondazione della Prima Cassa del Regno d'Italia!
Ma, "carta canta", e le statistiche, come quelle degli albori - ricordate Ugo Zatterin; quello del "mezzo pollo" a testa ad ogni italiano (c'erano, invece, pochi italiani che mangiavano un pollo al giorno…e tanti altri…che l'avevano visto solo in fotografia!..) - ..le statistiche, i sondaggi imperversano… nel pubblico e nel privato… omogeneizzando, globalizzando, appiattendo… esasperando.
Nella Storia Economica conta, spesso, solo il buonsenso, nell'interpretazione dei risultati, al di là dei dogma dei regimi, dell'appartenenza partitica, del balletto dei numeri, come quando un buon magistrato applica la Legge, emettendo sentenza, dopo aver proceduto per Analogia. Questo lavoro, per esempio, non è a destra né a sinistra. E' a Sud! Proviamo a conoscere ed a capire la realtà del Sud, attraverso il suo racconto. Oggi, le asettiche cartelle cliniche Eurispes ed Istat ci informano così, circa il suo stato di salute:
…da rapporto EURISPES 2003 / Economia

NORD-SUD.CRESCE IL DIVARIO TRA NORD E RESTO DEL PAESE

Un'Italia a tre velocita': la rileva l'Eurispes per quanto riguarda la distribuzione del reddito segnalando che ''le regioni del Centro sono caratterizzate da dinamiche proprie, non riconducibili all'una o all'altra parte della tradizionale dicotomia Nord-Sud''. Piuttosto, ''sarebbe dunque probabilmente più opportuno parlare di almeno 3 Italie - il Nord, il Centro, il Sud (non del tutto omo-genee al proprio interno) - e partire da questa constatazione per tratteggiare i contorni di un Paese in cui le disparità economiche tra differenti aree, anziché attenuarsi, vanno accentuandosi''. Il reddito medio delle famiglie italiane, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi previdenziali e assistenziali, ammonta a 26.098 euro (pari a circa 50 milioni di vecchie lire). Il dato del 2000 segna un incremento percentuale rispetto al 1998 del 4,7%. Tuttavia, cresce sensibilmente il gap rilevato tra le famiglie
Tuttavia, cresce sensibilmente il gap rilevato tra le famiglie residenti al Nord (che dispongono annualmente di 30.678 euro) e le famiglie residenti al Centro e nel Mezzogiorno d'Italia, per le quali il 2000 registra un reddito famigliare medio rispettivamente di 26.650 euro e di appena 19.380 euro. I dati regionali aggiungono complessità all'analisi: ''i redditi medi pro capite relativi a tutte le regioni meridionali sono inferiori alla media nazionale (posta pari a 100) e tra queste alcune realtà sono in condizione di particolare disagio: si tratta della Sicilia, della Calabria, della Campania e della Basilicata''. I divari esistenti tra le diverse zone del Paese nella distribuzione del reddito tra le famiglie hanno conseguenze rilevanti sulla povertà.
In Italia vive al di sotto della soglia di povertà ben il 12% delle famiglie, di cui una percentuale impressionante (il 66,3%) e' residente nelle regioni del Sud, il 13,6% al Centro e il 20,1% al Nord.

(Sec-Tna/Gs/Adnkronos)

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