Faccio
Esposito, di cognome. E' da metà della mia vita che faccio l'emigrante,
ingrassando con il mio "rosso" in banca le banche di quassù.
Anche stavolta - dopo l'ora d'aria agostana nel cortile sotto il cielo
di Napoli - sono rientrata nella mia cella ed il secondino dall'uniforme
grigia di nebbia ha chiuso pesantemente il cancello di ferro alle mie
spalle. Condannata all'ergastolo, per colpe che non ho commesso. Per
la sola colpa d'essere nata a Sud delle banche, della Fiat, della Massoneria.
Io, figlia del sole, impastata di lava e lapilli, di mare e di musica,
naturalmente tellurica e condannata all'immobilità. Due piedi
in un scarpa. Mai, piegata al sussiego ; io, qui nella nebbia della
vostra memoria, a far grande tra gli stranieri la mia Patria. Quella,
che avete la fortuna di abitare e di offendere. Solo chi è lontano
da Napoli fa sopravvivere Napoli...
Ho scontato la mia pena per essere stata figlia sùdica e fedele,
per aver troppo amato, per il mio masochismo innato, la mia sindrome
di Stoccolma... Io, vi prego, Signora Sindaco di Napoli, di farmi tornare
a casa; là voglio morire, adagiata sulle sponde presso le quali
- da bambina - costruivo castelli di sabbia e mi sentivo regina.
Non m'importa d'AVERE; m'importa d'ESSERE! Io voglio tornare tra la
mia gente, ascoltare la musica rassicurante dei suoni della mia lingua,
cibarmi del nutrimento della mia terra. Rivoglio i colori ed i sapori
che Dio mi affidò, perché li custodissi come sacri simboli
- nell'Urna ormai violata ov'erano riposte le Sacre Tavole del Patto
tra il Signore ed i Meridionali - e ovunque potessi diffonderli. Fui
strappata al mio destino, per immergermi nel Bagno Comune al Destino
della Diaspora del Mezzogiorno...
Sono stanca, non ho più desideri nel condurre questa vita insignificante
sotto un altrui cielo, sudando, producendo, consumando per un popolo
che mi sfrutta e che non è il mio.
Signora Sindaco, fu sacrilegio contravvenire alla Volontà Divina
che mi partorì napoletana. Noi fummo una grande Civiltà,
un grande Popolo, una grande Nazione. Credo, Lei lo sappia. Le rivolgo
appello per il mio reimpatrio, perché Lei è una forte
e fiera donna del Sud, perché lei è Donna e Madre : le
guerre, le svendite di Patria, gli eccidi e la gestione personale del
Potere - da sempre - appartengono al mondo degli Uomini; le donne, hanno
un più alto senso di giustizia e del governo, fanno lavorare
all'unisono i due emisferi cerebrali, mescolando sensibilità
e intelligenza, animus ed anima. Non a caso, Lombroso - il nostro scienziato-delatore
e razzista era di sesso maschile. Ebreo. Questo, pochi lo sanno...
Ho un sogno, dal primo giorno della mia deportazione in Patria, nella
mia qualità di "carne da cannone"... TORNARE A CASA!
Per cui Ti chiedo, Signora Sindaco Jervolino, dammi una possibilità
di sopravvivenza nella mia città, occupati di me con le medesime
cure che riservi agli extra-comunitari, ai residenti, ai giardini di
Piazza Municipio, ai frangionde sotto Largo di Palazzo, alle statue
evirate della Villa Comunale, ai tuoi elettori indigeni. Ti prego.
Sarebbe, forse, il più grande successo per un Sindaco di Napoli,
richiamare in Patria la popolazione dispersa nei buchi neri dell'emigrazione!
Liberati dei lacchè e di quel treno di piombo detto "La
Feccia del Sud"; prendi i Signori Camorristi e tutte le loro Famiglie
e rimandali in quell'America che se ne servì e che loro continuano
a servire, sottraendo ogni giorno alla nostra Napoli la sua dignità.
Manda loro via per sempre e riprendi NOI, per far degna di umanità
la nostra sirena Parthenia.
Sinnò, me moro.
Marina
Salvadore (A.D.2002)
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